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TAORMINA

TAORMINA

La fortuna di Taormina (poco più di 11.037 abitanti) è legata al suo sito: uno stretto terrazzo fra 150 e 200 metri sul mare, aperto per il lato meridionale e orientale sulla costa ionica, protetto da montuosità a settentrione e a occidente.

Dalle origini all'alto Medioevo: L'andamento sinuoso del terrazzo medesimo ha suggerito nei secoli talune oscillazioni insediative del sito urbano i cui limiti possono essere individuati: nella scarpata dell'intero fronte sudorientale che, tagliando il promontorio di Capo Taormina, incontra a nord-est la collina del teatro (250-260 metri); nel pendio nordoccidentale, che culmina nel monte Tauro (m 397); nella vallata meridionale fuori Porta S. Antonio. Altro importante riferimento morfologico è la strozzatura del terrazzo all'altezza della Porta di Mezzo. I primi insediamenti su questo terrazzo risalgono ai Siculi, che dovettero occupare una parte esigua di esso per spingersi in direzione della montagna sulle pendici di Castelmola, dove in contrada Cocolonazzo è una necropoli dell'VIII secolo a.C. con tombe a grotticella. La popolazione qui stabilita era certamente in relazione coi Greci della prossima Naxos, la più antica colonia greca della Sicilia, fondata nel 735 a.C. sopra la penisola lavica del capo Schisò. Dopo il 358 a.C., per l'appunto con una parte dei profughi di Naxos, conquistata trent'anni prima da Dionigi di Siracusa, veniva avviata l'edificazione di Tauromenion. L'agorà trovava luogo nell'area ricadente all'incirca nell'attuale piazza Vittorio Emanuele II, dove il terrazzo è più largo; fra le pendici ripide dei rilievi che lo affiancano a nord-est e nord-ovest si apre l'insellatura occupata oggi da Porta Messina. In direzione di questa il perimetro dell'abitato restava delimitato a nord da un bouleuterion, edificio adibito al consiglio della città, anteriore al II secolo a.C.,e a occidente non doveva superare il prospetto del tempio sito nell'area della chiesa di S. Caterina. Dall'agorà si raggiungeva in salita, lungo un tracciato stradale, il teatro, ubicato sulla piccola altura a sud-est del bouleuterion. Un secondo tracciato viario, coincidente con il primo tratto dell'attuale corso Umberto I, già in età ellenistica si staccava dall'agorà verso sud. L'insediamento della città greca si dilatava poi a nord dell’insellatura anzidetta, cioè nell'area del Tempio di Serapide, attuale chiesa di S. Pancrazio, e oltre. Da qui le mura di cinta dovevano giungere fino al luogo che ora forma il Belvedere. Un'acropoli, sulla vetta del monte Tauro, dominava da occidente l'intera città.
La dominazione romana confermava l'impianto greco, eseguendo ampi lavori di ristrutturazione e integrazione. Il teatro veniva ristrutturato in anfiteatro, l'agorà modificata in Foro, nell'area del bouleuterion erano edificate le terme, un Odeon delimitava il margine sudoccidentale del Foro e, ai limiti settentrionali della città, domus romane confermavano i precedenti insediamenti residenziali greci. L'edificio delle cosiddette Naumachie, monumentale terrazzamento che conteneva una grandissima cisterna a cui confluiva un acquedotto costruito in questo periodo, indirizzava il processo di espansione urbana verso l'area meridionale del terrazzo naturale. Ad agevolare tale direzione era anche il percorso della strada consolare Valeria, tracciato al tempo della prima guerra punica sotto il consolato di Valerio Levino per collegare Messina a Siracusa.
Negli ultimi decenni del I secolo a.C., Taormina fu ridotta a colonia e attraversò parecchi secoli di oscurità si risollevò solo verso la fine dell'età bizantina quando non solo diventò sede di Arcivescovado, ma subentrò a Siracusa nel ruolo di capitale della Sicilia orientale. In questo periodo, la città si ampliò all'area meridionale del terrazzo e poi ancora alle prime pendici sud-occidentali. Qui, infatti, agli antipodi della polis era la Cattedrale bizantina dedicata alla Vergine Assunta, poi S. Francesco di Paola. Grande attenzione fu posta al sistema difensivo. I Bizantini, infatti, incrementarono ulteriormente la grossa cinta muraria soprattutto nel lato meridionale; e sempre a loro si deve, forse, la costruzione di due fortezze che assicuravano le spalle montuose della città.
La prima resa dei Bizantini agli Arabi di Ibrahim Ibn Ahmed avveniva nel 902; a essa seguiva la distruzione di molti edifici. La definitiva conquista araba giungeva nel 962. A distanza di poco tempo, per rivalità intestine, Taormina veniva intenzionalmente distrutta. Nei decenni successivi gli stessi Arabi avviavano una nuova riedificazione in cui si ribadiva la migrazione della centralità urbana nell'area meridionale del terrazzo. In apparente contraddizione con tali scelte di sito, costruivano però anche una torre nell'area del Foro romano, primo nucleo del futuro palazzo Corvaja. Durante la dominazione araba le canalizzazioni di età romana furono integrate da derivazioni, nell'obiettivo di irrigare terreni lungo il versante opposto dei rilievi litorali. Nascevano in questi anni i casali di Gaggi, Graniti, Mongiuffi, Melia, Gallodoro come piccoli insediamenti agricoli.

Dai Normanni agli Aragonesi: il Borgo. Nel 1079 i Normanni cacciavano gli Arabi, e per Taormina si apriva un'epoca di decadenza, particolarmente causata dagli interessi normanni su Messina.
Si avviava, tuttavia, una nuova organizzazione urbana. Nasceva il Borgo, compreso tra Porta di Mezzo nel tratto più stretto del terrazzo e Porta del Tocco, in cui si sarebbero stratificati i più importanti edifici dei secoli successivi. L'identificazione del Borgo dovette probabilmente essere causata, oltre che da motivi contingenti della contrazione demografica e del più recente assetto fortificatorio (il versante sudoccidentale della cortina muraria di tracciato bizantino era stato certo ben mantenuto tra il 902 e il 962), anche da una parziale alternativa della viabilità incardinata sopra l'antica via Valeria. Infatti, a quei tempi una mulattiera «angusta» e «faticosa» però «rapida» univa un approdo costiero (in corrispondenza dell'odierna Villagonia) con il terrazzo. La cinta del nuovo Borgo si rinsaldava a nord delle rocce su cui svettava il Castello, per discendere fino al cosiddetto piano dei Cannoni dov'era una porta fortificata che affacciava sulla costa.
Tra il XIII e il XV secolo nel cuore di quest'area si trasferisce la Cattedrale, e le grandi famiglie feudali vi trasformano in residenza privata talune preesistenze fortificate. Nel Borgo, inoltre, l'ordine dei domenicani avrebbe trovato il luogo e la politica idonei all'insediamento conventuale; qui gli ebrei organizzavano la Giudecca; qui infine la borghesia nascente avrebbe arredato la vecchia via Valeria con pregevoli ornati di tradizione catalana, come testimoniano i numerosi portali che si succedono lungo il corso Umberto.
Altri episodi insediativi però contraddicevano, apparentemente, la preminenza urbana del Borgo. Nel XIII secolo, infatti, due complessi monastici venivano edificati nell'area settentrionale: l'ordine francescano nel 1221 s'insediava sulle pendici orientali del teatro greco-romano; le monache di S. Maria di Valverde andavano a occupare nel 1275 parte di area del Foro. Accanto a questo monastero di religiose, la torre araba lungo la via Valeria, futuro palazzo Corvaja, subiva alla fine del Duecento la prima addizione sul lato monte e, un secolo dopo, con la seconda addizione, lato monastero, raggiungeva l'attuale configurazione.

Dal Cinquecento all'industria del turismo. Nel XVI secolo, superata una crisi accesa dal tentativo della Corona di infeudare la città (1537) per ricavarne immediato contante, Taormina si apriva a un’esperienza di espansione urbana inconsueta. Si saldava il Borgo alla città settentrionale colmando la pausa edilizia tra Porta di Mezzo e Naumachie. L'origine urbanistica di questo nuovo insediamento traeva spunto dalla fondazione della chiesa di S. Sebastiano nel 1486 e successivamente affidata, nel 1530, agli agostiniani, che vi integravano l'edificio del convento. Nel punto di maggior strozzatura dell'intero terrazzo naturale veniva così a contornarsi una piazza. Da qui prendevano corpo nuove residenze e qualche importante «infrastruttura», come il fondaco e la taverna di Antonio Zuccaro. A tale espansione di riempimento faceva riscontro la nuova fortuna economica della città: un esercizio industriale, intrapreso nel corso del Cinquecento, per la produzione di zucchero, aveva presto raggiunto buoni risultati. L'espansione cinquecentesca verso nord veniva pure confermata dalla costruzione della chiesa di S. Maria del Piliere, lungo la via Valeria, e da alcune residenze come il palazzo attiguo alla stessa chiesa, databile alla prima metà del XVII secolo. Una certa saturazione delle superfici urbane costringeva, nel corso del Cinquecento, i nuovi insediamenti conventuali a cercare aree negli estremi margini della città. Ai cappuccini, nel 1559, veniva affidata la quattrocentesca chiesa di S. Caterina, nell'area degli acquedotti romani; ai conventuali francescani si affidavano, nel 1572, i locali del vecchio ospedale nell'area del Tempio di Giove Serapide; nel 1612 i frati di S. Francesco di Paola ricevevano l'ex Cattedrale bizantina nell'estremo meridionale della città, nel quartiere Cuseni; e così pure i carmelitani nel 1622 originavano il loro convento dalla chiesa di S. Maria ella Concezione, nel quartiere dei Greci.
Nel XVII secolo le iniziative fiscali della Corona spogliavano Taormina del suo territorio con l’infeudazione dei casali di origine araba, privandola di rendite non marginali. La città fu
in grado ancora di difendere il proprio prestigio: almeno sul piano urbanistico come mostra la reinterpretazione scenografica della piazza Duomo con la fontana costruita nel 1635 con la nuova edificazione del Palazzo dei Giurati. Ma la vicenda dei casali sottratti fu il preludio di una contrazione economico-demografica della città. Ne è un singolare sintomo il caso dei gesuiti che, dopo aver acquisito aree ed edifici e iniziato la costruzione della loro chiesa, abbandonarono a metà Seicento la città. E’ certo, tuttavia, che la città conservava ancora buone strutture di piazzaforte. Secondo Francesco Negro, che ne rilevava i disegni intorno al 1639, si presentava ben funzionale e attiva nelle sue diverse composizioni morfologiche. Il Borgo, ben recintato e protetto dal Castello, costituiva il più immediato accesso dal mare attraverso una Porta «fortissima di sito» nel piano dei Cannoni; dal Borgo, attraverso la Porta di Mezzo, si passava alla cosiddetta città, ove l'unica cortina muraria trascritta dal Negro seguiva il fronte orientale del terrazzo per raggiungere le pendici del colle del teatro. Per il rimanente, secondo il Negro, la natura dei luoghi avrebbe reso la città secura et inespugnabile.  In effetti però non proprio imprendibile se, durante la rivolta antispagnola di Messina, le truppe franco-messinesi nel 1676 potevano entrarvi da nord attaccando anche la Porta di Mezzo. Il censimento del 1713 confermava la caduta demografica della città: 2784 abitanti contro i 5580 del 1595. Ma nonostante la popolazione dimezzata, l'iniziativa ecclesiastica continuava a occupare siti significativi della morfologia cittadina: sorgevano in questo periodo la chiesa di S. Giuseppe, che chiudeva scenograficamente il lato occidentale della piazza fuori Porta di Mezzo; e la chiesa del Varò, probabilmente ampliando e modificando una precedente struttura, nel Borgo, appoggiata alle pendici che costeggiavano la via Valeria.
Nel depauperamento generale del XVIII secolo non tornava, certo, a vantaggio di Taormina la nuova viabilità che, tracciata a metà del secolo - in modo però ancora approssimato lungo il litorale, cominciava a escludere l'attraversamento della città. Ulteriormente perfezionato tra il 1825 e il 1830, l'asse viario litorale segnava un pesante colpo per l'antica stazione di merci e carovane, alla quale ora veniva fatta salire, dal litorale, una deviazione rotabile lungo il dorso del Catrabico (corruzione da Catabrìco: kata-brikka = giù dalla rupe). Isolata dai traffici commerciali, Taormina si apriva però in quegli anni all'industria turistica, già promossa, nei circuiti europei, dalle suggestive descrizioni restituite dai viaggiatori stranieri del XVIII secolo. In esse non si era mancato di coniugare le rare identità naturali del sito con il pregio delle architetture edificate tra età classica e basso Medioevo. Del resto, a tale nuova politica economica si prestava «opportunamente» la soppressione delle corporazioni religiose dopo il 1866. Gli ampi contenitori conventuali che si sarebbero resi così disponibili, avrebbero offerto abbondanti servizi per la nascente organizzazione turistica della città: cioè per usi alberghieri (S. Domenico), sanitari (S. Francesco di Paola), assistenziali (S. Maria di Gesù dei Francescani), culturali (S. Agostino), di pubblica sicurezza e di spettacolo (S. Maria Valverde). Il nuovo sviluppo economico, basato soltanto sul turismo, conduceva a un’ulteriore espansione urbana, nel corso del Novecento, strettamente connessa alla costruzione di nuove strade di collegamento: una a monte, verso Castelmola, l'altra a valle del corso. L'univoca definizione turistica, tuttavia, negli ultimi decenni, traendo a sé tante energie, ha condizionato talmente le espressioni della cultura locale da rischiare l'alienazione di un’identità storica.



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