FANO

FANO

Ubicato nella piana costiera marchigiana a nord-ovest della foce del fiume Metauro, Fano (62 000 abitanti) si adagia, nel suo nucleo più antico, su un modesto terrazzo alluvionale circondato per un ampio raggio dai quartieri più recenti e raccordato mediante due cavalcavia al litorale. A ponente, oltre il porto-canale ed il vecchio borgo dei pescatori, si estende invece il lido che termina a ridosso della foce del torrente Arzilla. Al di là di questa, la linea ferroviaria si accosta al mare e procede, affiancata alla statale Adriatica, fino a Pesaro. A sud-est, oltre la foce del Metauro, l'ampio fondovalle prosegue in una larga fascia pianeggiante, lungo la quale si sono sviluppati gli insediamenti balneari di Torrette, Ponte Sasso e Marotta. Verso l'interno, dove la valle va lentamente restringendosi, si trova la nuova area industriale. Questa posizione ha fatto di Fano uno dei centri più vitali delle Marche, fondato su una fiorente economia di tipo misto (mercato agricolo, porto di pesca, turismo, artigianato e piccola e media industria).

Il Fanum Fortunae e la Colonia Julia Fanestris. Caio Giulio Cesare, varcato il Rubicone nel 49 a.C., occupò e presidiò con una coorte, insieme con Pesaro e Ancona, anche Fano (Fanum). E questa la prima volta che la città appare citata nei testi antichi, senza però indicazione alcuna sulle sue origini, rimaste tuttora sconosciute.
Certa è comunque la denominazione più antica della città, Fanum Fortunae, che rimanda al Tempio della Fortuna (a ricordo della battaglia del Metauro che nell'anno 207 a.C. vide sbaragliato l'esercito di Asdrubale) intorno al quale si sarebbe sviluppato l'abitato, inizialmente un piccolo borgo. Al tempo di Augusto, prese il nome di Colonia Julia Fanestris, con un disegno urbano formato da un reticolato di cardi e decumani ancora oggi chiaramente leggibile. Con la deduzione della colonia l'abitato acquistò le dimensioni e l'importanza di un centro urbano a cui l'imperatore Augusto, come si legge nell'iscrizione della monumentale porta a tre fornici (il cosiddetto Arco di Augusto), murum dedit. Fece cioè costruire le mura, tuttora parzialmente conservate, con i relativi torrioni, lungo il tratto di oltre 500 metri che a nord-ovest della città va dalla Rocca Malatestiana al largo della scomparsa Porta Giulia e di qui, con un tracciato a linea spezzata, fino al largo di Porta Maggiore dove la Flaminia si innesta nel decumanus maximus (via Arco d'Augusto) attraverso la porta augustea. Simmetricamente, la cinta muraria proseguiva a est fino a un grande torrione angolare, raccordandosi poi a un altro torrione a nord. E qui, forse già in epoca romana, esisteva una prima struttura portuale dove giungeva dall'area padana il ricercato legno di larice, insieme con i vini e l'olio dell'Adriatico e dello Jonio meridionali. Tutto ciò spiega l'erezione a opera di Vitruvio di quella celebrata basilica che sorgeva su un lato del Foro, come luogo di incontro e contrattazione di coloni e mercanti.
Nel III secolo d.C. si diffuse tra i coloni fanesi il credo cristiano, che ebbe in S. Paterniano (275-360 ca.) il suo più fervido predicatore e, dopo l'editto costantiniano, anche il primo vescovo certo della piccola comunità.
Dalla Pentapoli al libero Comune. Due secoli dopo, l'augustea Colonia Julia Fanestris cessava di esistere fra le distruzioni e gli incendi portati dall'esercito dei Goti, da cui la città riuscì a risorgere solo molto lentamente, entrando a far parte, con altre città, della Pentapoli Marittima, controllata da Ravenna. Una situazione durata fino alla discesa dei Longobardi e dei Franchi (fine sec. VIII) con cui ebbe inizio il lungo contrastato periodo di dipendenza dal pontefice di Roma.
L'imperatore Ottone I concesse nel X secolo ai vescovi fanesi benefici di feudatari, e alla fine del secolo anche Fano fu libero Comune, assorbita in feroci guerre municipali che la portarono a stipulare un trattato di alleanza con Venezia, durato per oltre due secoli.
All'epoca delle spedizioni di Federico Barbarossa contro Ancona (1164 e 1174), Fano si dimostrò fedele all'imperatore. Il secolo seguente fu contrassegnato da lotte fra guelfì e ghibellini che si conclusero nel 1357, quando Galeotto Malatesta diede inizio alla signoria malatestiana su Fano, destinata a durare (con Pandolfo III e Sigismondo) fino al 1463.
Lo sviluppo urbano durante la signoria dei Malatesta. Anche durante il periodo comunale lo sviluppo urbano di Fano era rimasto circoscritto entro il perimetro delle vecchie mura romane. Il centro della vita civile, però, si era spostato di un centinaio di metri dall'asse dell'antico decumano massimo, coagulandosi nella nuova vasta piazza Maggiore (oggi XX Settembre).
Fu comunque solo con il XIV e il XV secolo che il volto della città cominciò a registrare sensibili modificazioni, grazie soprattutto ai Malatesta che, oltre all'edificazione del Palazzo Malatestiano, provvidero anche all'ampliamento del centro storico con l'insediamento entro una nuova cerchia di mura dei borghi popolari che erano venuti addossandosi all'antica cerchia murata. Il nuovo perimetro urbano fu segnato così dalle mura malatestiane, abbattute purtroppo nel Novecento. Sul fronte mare, benché in parte rifatte durante il XVI secolo, le mura sono invece parzialmente sopravvissute, sovrapponendosi alla cinta e al vallo più antichi. Contemporaneamente, al vertice settentrionale della città, su preesistenti fortificazioni di epoca romana e comunale, Sigismondo Malatesta fece erigere la Rocca con il poderoso mastio andato distrutto, come le mura, durante la seconda guerra mondiale. Le mutate tecniche d'assedio, conseguenza dello sviluppo delle artiglierie, furono anche per Fano causa del rinnovo della cinta difensiva, proseguito dopo la fine della dominazione malatestiana con l'imponente Bastione del Sangallo, ultimato nel 1552.
Libertas ecclesiastica e oligarchia nobiliare. Dopo un periodo di contese tra città e contado, che seguì la fine della dominazione malatestiana e culminò con l'abbattimento di tutte le chiese e i conventi esistenti all'esterno delle mura, Fano raggiunse finalmente, a metà del XVI secolo, con la formula della cosiddetta libertas ecclesiastica (che prevedeva il controllo di un governatore-prelato di nomina pontificia), un sufficiente stato di tranquillità. Chi seppe avvantaggiarsene - oltre ai vari ordini e confraternite religiose in gara fra loro nel rinnovare o erigere dalle fondamenta chiese e oratori (si superò allora il numero di quaranta edifici adibiti al culto)- fu soprattutto l'oligarchia nobiliare, beneficiaria del lucroso commercio dei grani favorito dall'apertura del porto-canale: opera realizzata fra il 1612 e il 1616 sotto la direzione di Gerolamo Rainaldi. Fra i pochi aspetti positivi di tale sistema politico-sociale, arretrato e irrimediabilmente legato a vecchi privilegi feudali, ci fu il mecenatismo di nobili e prelati che sostenne gli studi e la cultura, favorendo la fondazione di accademie, di scuole e di biblioteche e l'allestimento di spettacoli. A questa fervida rinascita culturale, vanno attribuite le numerose opere di restauro di antichi conventi, o la costruzione di nuovi edifici, come il primo Teatro della Fortuna del fanese Giacomo Torelli (1677). Dall'Unità d'Italia ai tempi nostri. Anche dopo l'Unità d'Italia la città stentò a trovare una sua dimensione nuova. La mancanza di industrie e un'agricoltura arretrata resero vani tutti i programmi urbanistici, in cui figuravano già ben evidenziate quelle aree d'espansione che solo nel primo quarantennio del XX secolo sarebbero servite per i nuovi quartieri residenziali. Fortunatamente, però, il vecchio porto-canale era stato gradualmente ampliato nel Novecento adeguandolo alle esigenze di una flottiglia peschereccia che costituisce oggi una delle maggiori componenti dello sviluppo economico cittadino.



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