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NAPOLI

NAPOLI

Le origini di Napoli, come tutte le origini, sono alquanto confuse; ma, trascurando i favolosi atti di nascita e le congetture, più o meno probabili, sulla prima colonizzazione del golfo, basterà cominciare dal IV secolo avanti Cristo, quando è accertata la coesistenza della città più antica Palepoli o Parthenope, a oriente, e della città nuova: Neapoli, arroccata sul monte Echia. Entrambe le città, greche di origini, di costumi, di religione, subirono poi forti infiltrazioni sannitiche, finché Roma, con la sua crescente potenza, non cominciò a metter piede anche nella Campania. Dopo l'assedio, posto a Palepoli nel 328 a. C. dal console Publilio Filone, si ebbe un trattato che garantiva a parole la libertà napoletana, ma in realtà asserviva sempre più la città a Roma, che ne fece prima una valente alleata marittima, poi la più bella e ricercata stazione climatica. I Romani erano soprattutto attirati dalla cultura greca, che li affascinò sempre, e che qui perdurava tenacemente, favorita e quasi umanizzata dai contatti con le popolazioni autoctone meridionali, dallo splendore del paesaggio e dalla mitezza del clima. Questo carattere della otiosa Neapolis, come la chiamò Orazio, durò per tutto il tempo in cui fu municipio romano con la lex Julia, finché nelle guerre fra Mario e Silla (82 a. C.), quest'ultimo non la fece deserta, massacrando o proscrivendo quasi tutti i suoi cittadini. Ma, passata la tempesta, la città riprese la sua vita e, divenuta colonia sotto Claudio, continuò a prosperare e a consolidare la sua vita economica, specialmente nei traffici marittimi.
La fisionomia greca di Napoli persiste ancora nel periodo bizantino, dal IV all'VIII secolo, quando è sede di un giudice e di un duca, e resiste ai reiterati attacchi dei Longobardi. Si cominciano intorno all’VIII secolo a manifestare i segni della piena indipendenza, anche se in principio solamente formale, e fino al 1139 si svolge la storia gloriosa del ducato autonomo, che attua conquiste sociali, si impregna di cultura occidentale e soprattutto, con il duca Sergio e con Cesario Console, si distingue per insigni vittorie militari nelle battaglie navali di Licosa (846) e di Ostia (849), e sotto il duca Gregorio IV allontana i Saraceni dal Garigliano (915). Ma a poco a poco, attraverso parentele e compromessi, e dopo alternate sconfitte e vittorie, Napoli si consegnò alla nuova potenza normanna che già da tempo s'era insediata nell'Italia meridionale.
Così Napoli, con il suo piccolo ma produttivo retroterra, perde la sua autonomia e passa a far parte di un più vasto regno, di cui ben presto sarà il caput. Alla dominazione normanna succede quella sveva, che dura fino al 1266 e in questo periodo Napoli, pur non essendo ancora la capitale, si assicura quanto meno il titolo di metropoli degli studi, avendovi Federico II, nel 1224, fondato quella Università che doveva conquistarsi tanta giusta fama. La città, tuttavia, rimane ancora circoscritta al suo perimetro romano, pur traendo un nuovo impulso vitale dallo stanziarsi delle colonie pisane e genovesi (più tardi si aggiungeranno i Fiorentini, i Provenzali e i Catalani), che moltiplicano i traffici e le industrie.
Tramontata, con Manfredi, la potenza sveva, e subentrata con il primo Carlo la dinastia angioina, Napoli divenne la capitale del regno e cominciò a ingrandirsi e ad abbellirsi, specie nella zona portuale. In tutto il secolo XIV, principalmente sotto il saggio re Roberto (1309-43) Napoli fu centro di viva cultura (basti ricordare Boccaccio, Petrarca e Giotto) e si arricchì di edifici e di chiese monumentali. Alla morte (1435) dell'ultima regina durazzesca,
Giovanna II, il regno fu conteso da Renato d'Angiò e da Alfonso d'Aragona, finché, dopo una lunga lotta, e posto il finale assedio a Napoli, l'aragonese riuscì a penetrarvi, con un sotterfugio, nel 1442. Cominciò allora un nuovo splendido periodo della storia napoletana. La capitale, in ciò favorita da un re amante delle lettere, delle arti e della magnificenza, divenne uno dei fari più luminosi del Rinascimento italiano: bella, elegante, armoniosa e pulita quale appare nella tavola Strozzi. I Napoletani, non amarono troppo Alfonso I che, fra tanti suoi meriti, aveva avuto il torto di dar troppo mano libera ai Catalani, contro i quali più volte esplose l'avversione dei Napoletani. I quali, bensì, si legarono assai più al figlio, Ferrante I, che fu re nazionale nel pieno senso della parola. Promosse la vita economica, allargò la cinta urbana e la difesa con un’imponente cinta muraria, di cui si vedono ancora tracce. Purtroppo, caduta la monarchia aragonese, e divampata la guerra tra Francia e Spagna, il regno di Napoli toccò a quest'ultima, degradando a vice regno. Tale rimase per due secoli (1504-1707), prolungato fino al 1734 sotto i viceré austriaci.
Dallo stabilirsi del vicereame spagnolo la città di Napoli, pur ingrandendosi e aumentando la sua popolazione (talvolta, però, decimata da micidiali epidemie), iniziò un periodo assai lungo di decadenza per il depauperamento economico e per la rilassatezza dei costumi, della forza morale e di quella dignità civica che le era stata così caratteristica nel passato. Eppure non mancarono mai, nel formarsi di una plebe indolente, e corrotta dalla commistione con le soldatesche spagnole, esempi notevoli di fierezza nazionale. Così nel 1547, quando nobiltà e popolo concordi insorsero fieramente contro il tentativo, e lo impedirono, di introdursi nel regno il tribunale dell'Inquisizione. Così ancora nel 1647, quando, nonostante la meschinità del duce della rivolta, Masaniello, il popolo fece pesare, con efferata violenza, la sua ribellione alle eccessive gravezze fiscali, e quando, nelle posteriori vicende, si ordinò in repubblica con il duca di Guisa.
Nei due secoli del vice regno, la città, per quanto spremuta, con il resto del paese, dalle esazioni ordinarie e dai  donativi straordinari, e per quanto spesso visitata, come si è detto, da carestie e da epidemie (spaventosa, sopra tutte, la peste del 1656 che mieté 400.000 vittime), continuò a dilatarsi nella sua pianta urbana. Particolarmente notevole, sotto questo punto di vista, il governo del viceré don Pedro de Toledo (1532-53), che aprì, fra altro, la grande arteria che porta il suo nome, e che presto si popolò a monte di vasti quartieri; allargò la cinta delle mura ed energicamente combatté la delinquenza comune. Furono due secoli bui,  così a Napoli come in Lombardia o in America sotto il giogo spagnolo. Ma è anche giusto dire che, accettato - né poteva essere altrimenti - il fatto compiuto, e legatisi sempre più strettamente alla metropoli, fino a considerarsene una parte inseparabile, i Napoletani si formarono a poco a poco un concetto, assai nobile della loro interdipendenza e, per esempio, più volte combatterono valorosamente, non come mercenari ma come cittadini coscienti, contro i nemici della Spagna.
E, come spesso accade nei periodi di servitù, e quasi come tacita rivolta contro la forza bruta, fiorirono le lettere, le arti, la filosofia. Nel secolo XVIII, per esempio, la pittura, creando una vera e propria scuola intorno ad alcuni grandi maestri, assurse a un’eccellenza pari a quella che arriderà, nel secolo seguente, alla scuola musicale napoletana. Più e meglio ancora, nel campo della filosofia e della scienza i Napoletani eguagliarono, e talvolta anticiparono, i più arditi movimenti del pensiero moderno, fino a conquistarsi la loro più grande gloria nel genio di Giambattista Vico.
Infine, a conclusione della guerra per la successione di Polonia, nel 1734 Napoli risorse alla dignità di capitale di un regno indipendente. Il suo primo sovrano, Carlo di Borbone, poi Carlo III di Spagna, si rese benemerito, grazie anche all'avvedutezza del suo ministro Tanucci, per rinnovamenti edilizi, che la fecero una delle più belle e piacevoli metropoli europee, mèta per tutto il secolo di pellegrini appassionati, talvolta della statura di Goethe. Il regno del figliuolo, Ferdinando IV, che ebbe inizio nel 1759, fu caratterizzato da una maggiore indipendenza nazionale, con il progressivo distacco dalla Spagna, ma poi, purtroppo, dopo la rivoluzione francese, e per la fatale influenza della regina Maria Carolina d'Austria, prese un carattere nettamente reazionario, che, portatolo alla guerra con la Francia, ebbe il suo tragico epilogo nella Repubblica Partenopea del 1799, presto seguita, nel giugno dello stesso anno, dalla riconquista ad opera del cardinale Fabrizio Ruffo e dalla spietata strage dei patrioti. Napoli scrisse allora la pagina più gloriosa e più pietosa della sua storia; ma il sangue delle vittime non fu versato invano, esempio e incitamento alle future rivoluzioni.
Il ritorno dalla Sicilia di Ferdinando IV fu di breve durata, perché, ripreso il regno dai Francesi nel 1806 e fattone re Giuseppe Bonaparte, sostituito nel 1808 da Gioacchino Murat, si ebbe quel  decennio francese che, pur facendo ancora una volta Napoli satellite di un grande impero, fu fecondo di risultati nel progresso civile, nelle riforme economiche, nelle opere pubbliche, nelle istituzioni culturali. Succeduto, a Ferdinando, Francesco I (1825-30), a questi seguì Ferdinando II (1830-59), che ebbe un felice inizio di regno, ma si volse poi, dopo la spergiurata costituzione del '48, a una gretta amministrazione su larga base clericale e poliziesca. Toccò al figlio, il mite Francesco II, il triste destino di abbandonare il trono degli avi innanzi alla trionfante rivoluzione nazionale. Il sogno dell'unificazione, realizzato con tenace e accorta preparazione dall'alta mente di Cavour, fu più rapidamente compiuto, dalle gesta leggendarie di Garibaldi, che il 7 settembre 1860 entrava in Napoli da trionfatore, e poi, superato ogni rancore, con un atto che lo fa grandissimo, donava il regno al sopraggiunto re.
Durante gli ultimi anni della monarchia borbonica, Napoli aveva avuto uno sviluppo piuttosto lento dal punto di vista edilizio, sebbene la vita economica si svolgesse con un ritmo regolare e paternalistico; pessime, peraltro, le condizioni culturali, gli uomini migliori nelle galere o in esilio. Dopo il '60, superati rapidamente gli intralci del cambio di amministrazione, delle stentate cospirazioni borboniche e della piaga del brigantaggio, gli uomini nuovi - i de Sanctis, gli Spaventa, i Settembrini - cooperarono fortemente al risorgere materiale e al rinnovarsi spirituale del paese.
Ma non v'è alcun dubbio che, decadendo nel 1860 dal suo rango secolare di capitale, Napoli perdesse qualche cosa, e anzi parecchio.
Oggi,  nel XXI secolo,  la grande capitale del Mezzogiorno si presenta ai suoi visitatori rinata e orgogliosa di mostrare i suoi gioielli migliori costituiti di chiese, castelli, musei e palazzi nobiliari.



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